Niente di che: si trattava solamente di decidere se muoverci nelle Dolomiti in posti bellissimi ma probabilmente già noti ai potenziali partecipanti oppure in luoghi di bellezza diversa, forse minore, ma non conosciuti e quindi con il fascino del nuovo.
Non nascondo che la scelta, non conoscendo a priori la provenienza dei potenziali partecipanti, mi ha lasciato indeciso alquanto. Alla fine abbiamo optato per percorsi meno famosi, più di “casa nostra”.
Unica cosa, abbiamo deciso di dettare una indicazione inderogabile: partenza all’orario prefissato dal luogo di ritrovo: chi c’è c’è e chi non c’è non c’è. Il percorso, tutto di montagna, prevedeva alcune tappe e il vincolo (imperativo e purtroppo limitante) della presenza ad ora predefinita per il pranzo dettava legge. Qualsiasi ritardo alla partenza avrebbe causato il depennamento di una o più tappe per poter garantire il pranzo. Riconosco e sostengo, come opinione personale, che in un giro come quello preparato rinunciare a qualche tappa per un pranzo non è proprio nelle mie corde; ma l’organizzazione del ritrovo aveva carattere generale e non personale, per cui era giusto e doveroso agire così.
E poi il tempo passa e arriva il giorno del ritrovo.
Ci siamo tutti.
Tutti pronti, via?
No, una moto non parte. Fuori tutti i ferri disponibili: chiavi inglesi, a brugola, cacciaviti candele e condensatori, la moto mezza “a cuore aperto” nel piazzale, ma niente, non parte.
Siamo in ritardo ma questo non rientra tra le colpe ma nella fatalità; finché possibile in questi casi vale il tutti per uno e che nessuno parli.
Però, se la moto non parte non parte. Il proprietario corre a casa in auto per cambiare moto e ci raggiungerà strada facendo e noi si va, invertendo l’ordine del giro per mantenere fermo il vincolo dell’ orario del pranzo.
Longarone, via a dx a salire verso il Vajont dove facciamo tappa nei pressi dell’omonima diga. Tra l’altro siamo prossimissimi al sessantesimo anniversario.
Breve tappa, qualche delucidazione, e via di nuovo per una stradina sul lato opposto della valle.
È una strada che per lunghi tratti taglia il pendio molto inclinato sul sottostante torrente, con un paio di affluenti laterali che nel corso dei millenni hanno inciso gli strati di roccia a formare degli “orridi” molto belli, ossimoro a parte.
Due o tre case sparse e una strada lunga km, asfaltata e con gallerie; mah!! Chissà perché viene tenuta aperta una strada così apparentemente poco utile.
Ma non importa, è così e basta.
Tutto d’intorno si respira l’atmosfera di inizio autunno: l’aria fresca, il colore degli alberi che comincia a macchiettarsi di bruno.
Ci ricongiungiamo con la strada principale e saliamo verso Cimolais per imboccare la valle Cimoliana che ci porterà all’interno del parco delle Dolomiti friulane.
Appena imboccata la valle Cimoliana una potente e cuspidata piega negli strati di roccia calcarea ci richiama alle immense spinte tettoniche che hanno interessato questi monti.
Ci addentriamo correndo lungo la stradina che segue il torrente di fondo valle, a momenti stretto stretto con pareti a picco ed a momenti in cui si allarga in spazi di ampio respiro. E su, fino al rifugio Pordenone.
Sotto i nostri occhi abbiamo boschi, ghiaioni, strati su strati di roccia biancastra calcarea sovrapposta dalla dolomia rosata dal sole.
Più oltre, ma non accessibili a noi, i sentieri che portano in quota.
Torniamo giù e ci dirigiamo al lago di Barcis per il pranzo e per ricongiungerci con il nostro compare di viaggio della moto morta che nel frattempo ha recuperato l’altra sua.
Due ore per attendere il pranzo e per mangiare; in bella compagnia fin che si vuole, ma non sanno quelli del locale che a noi interessa girare e goderci la convivialità nella tranquillità della sera piuttosto che in quella del pomeriggio?
Alle tre si riparte; la mia moto rompe le balle perché si mette in testa di non tenere il minimo. Ci mettiamo le mani ” di corsa”, quanto basta per fare peggio il “tacon dello sbrego” ovvero peggio la pezza dello strappo. Ma intanto corre, anche troppo per i miei gusti, soprattutto in curva quando molli l’acceleratore e mantiene i 4000 giri.
Saliamo a Piancavallo e via dritti ad infilare una stradina che corre in costa a portarci al Cansiglio. Magnifica stradina in quota che si snoda attraverso pascoli dove l’ambiente carsico del monte si manifesta ad ogni metro. Fino a pochi anni addietro era una strada bianca più o meno sconnessa che collegava alcune malghe; ora è in parte asfaltata e in parte rimanente lo sarà dal prossimo anno.
Ma perché spendono decine di migliaia di euro ad asfaltare stradine così carine com’ erano, con utilità per chi?
Anche perché l’ambiente montano è pieno di stradine bianche interdette ai mezzi a motore e poi una volta asfaltate diventano praticabili.
Qual è allora la ratio del divieto prima e del non divieto dopo?
La mia mente naturalistica si scervella senza risultato a capire il perché; non lo capisco e partono epiteti non scrivibili.
Dai pascoli al bosco di faggi il passaggio è veloce; un altro mondo, bello come il primo ma ovviamente diverso. Da non perdere entrambi.
E poi il Cansiglio si apre nella sua piana: ampia,verde, soleggiata al sole del tardo pomeriggo, sempre affascinante e amorevole.
Giù, la sera ci chiama al rientro in albergo.
Buona cena, belle ciacole (chiacchiere), momenti di tranquilla convivialità.
La stanchezza mi chiama, mi caccio a dormire.
A domani per il secondo giro.
La sveglia del secondo giorno di raduno suona presto.
Il tempo non si presenta bellissimo come il giorno precedente ma è comunque buono e fa più caldo.
Tiro fuori la 80 che mi ero portato dietro per il non si sa mai, visto che avevo un posto libero nel carrello; sarebbe stato sciocco avere la 80 a casa e la 79 che magari si mette a fare le bizze.
Ragionamento profetico visto che la 79 il giorno prima si era scarburata.
Oggi cominciamo il giro con una visita alle cascate di Cornolade, alle pendici del Nevegal.
Si tratta di un piccolo corso d’acqua che chiamare torrentello forse è troppo, ma che nel corso dei millenni ha scavato una forra ricca di cascatelle, marmitte e pozzi di singolare particolarità. Non si poteva non proporre.
Ridiscendiamo a valle e saliamo dall’altra parte della valle per ritornare sul Cansiglio.
Un po’ di foschia vela la vista sul costone est del massiccio ma lascia evidente la costa di distacco della antica frana che ha occluso la valle Lapisina e l’originario sbocco del Piave in pianura.
Riattraversiamo la piana del Cansiglio, bella come il giorno prima ma piena di gente, e saliamo verso il monte Pizzoc; una quindicina di km in mezzo al bosco di faggi fino alla sommità.
A sinistra la pianura, di fronte la valle di Revine e i suoi due laghi e il Nevegal, a destra la piana del Cansglio.ef i suoi faggeti e le sue abetaie.
A nord, in lontananza, il Civetta, il Pelmo, l’Antelao e le Tofane si lasciano intravedere nella foschia.
Posto di osservazione naturalistica privilegiato: geologia, botanica, zoologia tutto intorno da perdersi ad ammirarle, a rimembrare le vecchie conoscenze.
Dalla parte opposta, verso nord, il Dolada, nostra prossima meta, raggiungibile attraverso comoda strada che attraversa l’Alpago e si inerpica fino a quota 1500 a farci godere, dalla splendida terrazza naturale tutta la panoramica verso valle.
Mangiamo lì, dopo paziente attesa del nostro turno al rifugio e poi ridiscendiamo a valle.
È finita.
Carichiamo le moto, un cordiale saluto tra tutti noi e cala il sipario su questa nostra piccola avventura di due giorni trascorsi sulle ruote della libertà.
Un ringraziamento ai partecipanti per la squisita compagnia.