A Kharol Bagh la parola overland è pronunciata con una certa eccitazione.
La si sente tra gli innumerevoli commercianti di motociclette che sorseggiano il chai, tra i rombi assordanti di vecchi monocilindrici nelle grinfie di giovani meccanici, tra i dedali di viuzze straboccanti di accessori e pezzi di ricambio. Siamo a Nuova Delhi e i ragazzi dai lunghi capelli, dopo aver trascorso l’inverno indiano tra Goa e le montagne himalaiane del Kashmir e del Ladakh, si preparano a rientrare in Europa, in moto, attraversando affascinanti e inquieti paesi come Pakistan, Iran e Turchia.
A chi ne fosse ancora sprovvisto non resta che trovare la motocicletta giusta per il proprio portafoglio, ma la scelta non può essere che una, la mitica Enfield Bullet 350 . Se ogni quartiere ha il suo re, quello di Kharol Bagh si chiama Lali Singh, il profeta dell’ Enfield, l’amico dei ragazzi europei, un nome una garanzia. Le sue mani rimettono al mondo pistoni esausti, cilindri e valvole sventrate …quando la moto esce dalla sua stravagante officina, si può ben dire che l’Overland sta iniziando con il piede giusto.
Sconfitta la tenace burocrazia indiana, Lali benedice con una emozionante cerimonia Sikh le sue rigenerate Enfield …incensi e preghiere avvolgono le nostre moto ormai pronte ad affrontare il loro più lungo viaggio. Dopo lunghi giorni di attesa, ora tocca a noi … l’emozione è forte quando per l’ ultima volta percorriamo l’ immensa Connaught Place di Delhi; l ‘ overland e’ veramente iniziato. Uscire dalla capitale indiana mette subito a dura prova le nostre condizioni psicofisiche; il traffico e’ allucinante, il caldo e lo smog insopportabili, la segnaletica incerta…e mancano solo 485 km al confine. Siamo sulla Grand Trunk Road, la storica arteria che collega Calcutta a Peshawar, un invidiabile laboratorio di cultura indiana e mussulmana. A tratti la strada è a due corsie per ogni senso di marcia e il traffico è scorrevole mentre, sempre più spesso, si è convogliati in una unica stretta carreggiata e ben presto sperimentiamo le improbabili tecniche di guida del popolo indiano.
Non è raro incontrare grossi autocarri Tata divelti sull’asfalto , con il loro carico che intralcia il passaggio e macchine squarciate dalla folle potenza d’urto. Impieghiamo tre giorni per raggiungere il famoso confine indo-pakistano, la frontiera dell’ odio, fermandoci a Karnal, Ludhiana e Amritsar ( da non perdere il mistico Golden Temple ), viaggiando prevalentemente di mattina presto per evitare l ‘insopportabile afa pomeridiana. Per noi amanti della cucina indiana, è un piacere intervallare le lunghe ore di marcia con deliziosi e veraci spuntini a base di piccantissimo dhal , tandoori chicken e chapati. La nostra presenza motorizzata attira ad ogni fermata l’attenzione di decine di incuriositi indiani, intenti ad oziare, che impazziscono quando riescono a capire la portata della ns. avventura.
Incominciamo a sentirci un tutto uno con le ns. Enfield quando ci avviciniamo al confine; siamo nel Punjab, la terra dei separatisti sikh …mi aspetto interminabili file di Tata in attesa di sconfinare, con immensi bivacchi e chilometri di vita vera. E invece la strada è deserta, l’unico valico di frontiera tra India e Pakistan è avvolto in uno strano silenzio…da non crederci. E’ l’alba quando scopriamo che la dogana aprirà solo in tarda mattinata; siamo i primi e ci aspettano lunghe ore di attesa da dividere con qualche contrabbandiere ed equivoci personaggi. Poi, molto lentamente, arrivano nugoli di doganieri, i controlli sono estenuanti, cosi’ come le pressanti richieste di denaro e regali vari; dopo tre ore di tensione abbiamo sbrigato tutte le formalità e finalmente entriamo in terra pakistana, la terra dell’ Islam…